XLIX – TAC


Prima cosa: oggi compie venti anni Luca…
Perciò, prima di incominciare a scrivere: auguri Luca! Ovviamente gli auguri a Luca li ho già fatti stamattina.
Poi, subito dopo, gli ho detto “Luca…”.
E lui “Eh?”.
Ed io “Cambia squadra!”.
E lui ”Anche tu!”.
Ed io… zitto perché dopo due sconfitte consecutive è meglio che stia zitto! Speriamo bene domenica prossima con l’Alessandria…
Seconda cosa: perché cazzo mi è venuto in mente di numerare i racconti con i numeri romani proprio non lo so… lasciamo stare che è meglio…
Nel racconto di oggi scriverò di oggi.

Tomografia assiale computerizzata.
TAC, per intenderci.
Ospedale San Raffaele.
Parcheggio l’auto, e poi via in accettazione centrale. L’addetta, dopo aver sbrigato la pratica, inizia gentilmente a spiegarmi dove mi devo dirigere per raggiungere la radiologia.
Apro una parentesi.
Sono arrivato in ospedale con largo anticipo, come sempre. Non solo in ospedale mi presento con largo anticipo, ma a tutti gli appuntamenti. Non mi piace proprio arrivare in ritardo!
Chiusa la parentesi.
Stavo dicendo che iniziò a spiegarmi dove dovevo andare “Deve girare subito qui a sinistra e poi”.
E poi, io la interrompo per non farle perdere tempo “Grazie ma, ahimè, conosco la strada a memoria”.
Sorrisi di circostanza e, anziché avviarmi verso sinistra, mi dirigo verso l’ingresso principale. Avrà pensato ”Conoscerai anche la strada a memoria, ma guarda che stai andando dalla parte sbagliata”.
In realtà dovevo prima andare a ritirare gli esami del sangue che avevo fatto lo scorso 23 settembre. Per fare la TAC devono avere il referto degli ultimi esami del sangue.
Arrivo al ritiro referti, prendo il numerino dalla macchinetta e capito casualmente dall’addetta che abita proprio a Rivolta.
Mi riconosce…
Non ci conoscevamo prima che mi ammalassi.
Vado in radiologia e, non appena mi vede, l’infermiera mi dice “Sala, vero?”.
“Sì” rispondo”.
E poi aggiungo “Ma sono in largo anticipo”.
Poi penso “Ma come avrà fatto a ricordarsi il mio cognome?”. Consegno il tutto e, quando è il mio turno, l’infermiera, mi fa accomodare nello spogliatoio.
Poi mi chiamano. Mi sdraio sul lettino in posizione supina e l’infermiera mi “buca” il braccio per mettere la cannula per l’iniezione del mezzo di contrasto.
Poi esce.
Rimango solo e… s’inizia.
Con la voce microfonata del radiologo.
“Un bel respiro, trattenga il fiato. Non respiri” e, dopo qualche istante, “Respiri”.
E poi una seconda volta.
“Un bel respiro, trattenga il fiato. Non respiri” e, dopo qualche istante, “Respiri”.
Prima di attivare la pompa che t’inietta il mezzo di contrasto, la solita voce microfonata del radiologo.
“Le stiamo per iniettare il mezzo di contrasto. Sentirà caldo. Non si preoccupi. È normale”.
E poi.
“Un bel respiro, trattenga il fiato. Non respiri” e, dopo qualche istante, “Respiri”.
E poi ancora.
“Un bel respiro, trattenga il fiato. Non respiri” e, dopo qualche istante, “Respiri”.
E poi…
E poi basta, entra l’infermiera e ti toglie la cannula.
Perché vi ho raccontato di questa giornata? Per due motivi.
Il primo motivo.
Tornando verso l’auto, pensai allo stato d’animo che avevo quando feci la prima TAC all’ospedale di Treviglio. All’ansia che avevo, per intenderci. Era il 19 marzo 2013. Battiti alle stelle! Ed ero pure bradicardico all’epoca, perché praticavo il podismo. Per intenderci, a riposo, 44-48 pulsazioni al minuto. A ogni TAC successiva, le pulsazioni iniziarono a diminuire. Non che le cose siano migliorate dal quel 19 marzo 2013. Anzi, tutt’altro! Comunque, oggi, le pulsazioni cardiache durante la TAC erano normali. Non 44-48 pulsazioni come quando correvo a piedi, sia chiaro, ma comunque non ho notato nessun incremento dei battiti durante la TAC.
Che cosa ho pensato?
Che prima o poi ti abitui.
A tutto, è solo questione di tempo…
Sia chiaro: non è che mi sono rassegnato!!!
Anzi, tutt’altro!!!
La penso come Ernest Hemingway “Il mondo è un bel posto e per esso vale la pena di lottare”.
Però non mi faccio più nemmeno mille pippe mentali.
E non è questione di essere ottimista o pessimista.
Di vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto.
Che poi, che cazzo vorrà dire vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto?
Se io non ho molta sete e chiedo a Luca di versarmi dell’acqua gli dico “Puoi versarmi mezzo bicchiere d’acqua, per piacere?”. Non è che gli dico ”Puoi versarmi un bicchiere di acqua mezzo vuoto?” o ”Puoi versarmi un bicchiere di acqua mezzo pieno?”.
Il secondo motivo.
Sono stato ricoverato a Treviglio per la prima volta il 17 marzo 2013. Oggi è l’8 ottobre 2014. Sono passati quasi diciannove mesi.
Forse è anche per questo che l’addetta del ritiro referti e l’infermiera della radiologia mi hanno riconosciuto.
In diciannove mesi ne ho ritirati di referti e ne ho fatte di TAC al San Raffaele.
Tutto sommato diciannove mesi non sono pochi per chi non ha davanti un futuro sconfinato.
Poteva andarmi meglio, è vero.
Soprattutto se non mi fossi ammalato.
Ma dal momento in cui mi sono ammalato, poteva anche andarmi peggio, molto peggio.
E ora non sarei qui a scrivere.
Una cosa, però, non ho mai smesso di fare in questi diciannove mesi.
Di sperare e di sognare per continuare a vivere.
I hope, I dream, I live…

Rivolta d’Adda, mercoledì 8 ottobre 2014

citazione Hemingway