XLII – LUIGINO


Dovete prima leggere “Senza titolo”. Altrimenti non capireste…
Riprendiamo da dove ero rimasto, ma andiamo per gradi.
Intanto vi dico come mi chiamavano.
Qualcuno mi chiamava Luigino.
Qualcun altro mi chiamava Luigi.
Altri ancora, tra cui ovviamente mia nonna, mi chiamavano Gino. E andava ancora bene che lei, mia nonna, mi chiamasse Gino e non “Zio Gino”.
Avete capito a cosa mi riferisco vero?

E poi c’era chi mi chiamava Gigi. Mia zia Luigia, ad esempio, mi chiamava Gigi. E Gigi mi piaceva anche…
Fino all’età di dieci anni non mi pesò più di tanto chiamarmi Luigino. Capirete, però, che crescendo, uno se la pone la domanda.
Quale domanda?
Questa “Ma chi sono io?”.
Nel periodo adolescenziale quel nome iniziò a “starmi veramente sulle palle”.
Sì, perché quando hai quattordici anni, la prima domanda che ti fa una ragazza quando la conosci è “Come ti chiami?”.
E tu che cazzo le rispondi se ti chiami Luigino?
Io le rispondevo “Luigi, anche se il mio nome di battesimo è Luigino. I miei mi chiamarono così perché quando sono nato ero piccolino”.
Fa anche rima. Sì, farà anche rima ma tu quella, la ragazza intendo, non la vedevi più! Volatilizzata…
Anche nel periodo post-adolescenziale quel nome mi pesò.
Sì, perché anche a diciassette anni la prima domanda che ti fa una ragazza, quando la conosci, è sempre la stessa.
Io rispondevo “Luigi, anche se il mio nome di battesimo è Luigino. I miei mi chiamarono così perché quando sono nato ero piccolino. Poi però sono cresciuto ed eccomi qua!”.
Fortunatamente, a diciassette anni non ero poi così brutto e allora non spariva, la ragazza intendo.
Come decisi di farmi chiamare quando iniziai a crescere?
Luigi, come mio nonno paterno. Come volevano chiamarmi i miei genitori. Anzi, come avrebbero dovuto chiamarmi se non fossero stati “troppo buoni” con mia nonna.
Certi documenti, però, non li puoi firmare Luigi Sala se ti chiami Luigino Sala.
E allora iniziai a firmare LSala, tutto attaccato…
Ancora adesso, quando firmo i documenti, mi firmo LSala. Anche sulle impegnative per gli esami del sangue e per le visite oncologiche.
E vogliamo parlare dell’indirizzo di posta elettronica?
Quello aziendale è luigino.sala@. Ti è assegnato: nome.cognome@. E se ti chiami Luigino Sala non ti possono assegnare luigi.sala@.
Però l’indirizzo di posta elettronica personale te lo puoi anche scegliere.
Così, quando decisi di attivarlo, scelsi luigi.sala@.
Ma c’era già un luigi.sala@.
Provai, allora, con sala.luigi@ ma c’era già anche quello.
Niente da fare, condannato a mettere Luigino.sala@.
Ma anche quello c’era già!
Eh sì, c’era già!
Fu un sollievo scoprire che c’era almeno un altro Luigino in Italia.
E faceva pure Sala di cognome!
Provai, allora, con sala.luigino@.
Finalmente, impossibile che ci fossero due Luigino in Italia…
L’ho già scritto, ma lo riscrivo ancora una volta. Per potermi riagganciare, nel finale di questo racconto, a “Senza titolo”.
Se i miei genitori non fossero stati “troppo buoni” con mia nonna Eva, io mi sarei chiamato Luigi, come mio nonno paterno. Che, come ho scritto in “Senza titolo”, abitava a Lissone. Non abitava a Rivolta. Non abitava in casa con noi, come i nonni materni.
Non c’era il rischio che se mia mamma avesse detto “Luigi, per piacere, puoi andare in cantina a prendere una bottiglia d’acqua?” rispondessimo entrambi “Sì, vado”.
Alzandoci entrambi da tavola per scendere in cantina.
Luigi nonno e Luigi nipote…
Capito cosa intendo?
In tal caso, quando a quattordici anni, per la prima volta, chiesi ai miei perché mi chiamarono Luigino avrebbero potuto rispondermi “Per non far alzare anche il nonno da tavola quando c’era da andare a prendere l’acqua in cantina”.
L’avrei accettato quel nome!
Perché quando una ragazza mi avrebbe chiesto come mi chiamavo, io avrei potuto rispondere “Luigino. I miei mi chiamarono così perché non volevano far alzare anche mio nonno Luigi da tavola quando c’era da andare a prendere l’acqua in cantina. Ma io mi faccio chiamare Luigi perché mi piace di più”.
A quella domanda, invece, mi risposero “Ti abbiamo chiamato Luigino perché la nonna voleva chiamarti Gino. Gino non ci piaceva e così ti abbiamo chiamato Luigino. Come facevamo a dirle di no?”.
Come facevano a dirle di no, a mia nonna intendo…
“Ma che cazzo c’entra mia nonna con la scelta del mio nome” pensai?
E quella domanda me la posi più volte crescendo.
La risposta che mi diedi in età adulta fu questa: i miei genitori mi chiamarono Luigino perché erano “troppo buoni”.
Se ci fossi arrivato prima a capirlo, a quella ragazza avrei risposto semplicemente “Mi chiamo Luigino perché i miei genitori sono troppo buoni”.
Basta, mi arrendo. Sono quasi le quattro e non mi sono ancora riagganciato a “Senza titolo”. Proseguirò domani…
“A che punto sei?” Chiedo a Monica.
“A pagina 575” mi risponde.
“Dormiamo?” dico io.
“Finisco il capitolo, mancano sette pagine” dice lei.
“Ma quante pagine ha quel mattone?” Chiedo io. Mattone nel senso di voluminoso.
“892” risponde lei.
Per la cronaca il titolo del libro è il “Il cardellino” scritto da Donna Tartt. Ha vinto il premio Pulitzer per la letteratura proprio quest’anno.
E poi aggiunge “È un libro bellissimo”.
Ma come farà a leggere di notte, penso io…
Ma come farà a scrivere di notte, starà pensando lei…

Rivolta d’Adda, sabato 4 ottobre 2014

Carta e penna