XLI – SENZA TITOLO


Niente da fare.
Non c’è proprio verso di dormire stanotte. Sono le due e un quarto e non ho ancora chiuso occhio.
Tanto vale che mi metta a scrivere qualcosa. Dormirò domani mattina, visto che non mi devo alzare per andare al lavoro. Anzi, stamattina, visto che è già sabato…
Questo è il quarantunesimo racconto che scrivo.
Scriverò, anche se non sono dell’umore giusto per farlo.
E allora non mi rivolgerò né a Wilson, né al pubblico di manichini, né sarò ironico.
Probabilmente vi annoierò. Anzi, vi annoierò sicuramente.
Peraltro non so neanche da che parte iniziare per scrivere ciò che ho in mente. È un ragionamento abbastanza complesso.
Parto dal mio albero genealogico.

Elencherò i mie familiari, nell’ordine in cui sono venuti a mancare e l’età che avevo io quando accadde l’evento luttuoso. Non ricordandomi a memoria le date di nascita dei nonni, ho preso nel comodino le loro immaginette ricordo.
Cercando di non fare troppo rumore perché Monica dorme.
Mio nonno materno nacque il 9 novembre 1906 e morì il 15 maggio 1974, all’età di 67 anni. Io avevo 7 anni, ero ancora piccolo.
Mio nonno paterno nacque il 22 luglio 1898 e morì il 24 novembre 1975, all’età di 77 anni. Io avevo 8 anni, ero ancora piccolo.
Mia nonna materna nacque il 26 agosto 1909 e morì il 14 maggio 1996, all’età di 87 anni. Io avevo 29 anni.
Mia nonna paterna nacque il 7 luglio 1905 e morì il 4 agosto 1997, all’età di 92 anni. Io avevo 30 anni.
Mia mamma nacque il 26 gennaio 1937 e morì il 29 gennaio 2006, all’età di 69 anni. Io avevo 38 anni.
Mio papà nacque il 20 ottobre 1937 e morì il 4 febbraio 2012, all’età di 74 anni. Io avevo 44 anni.
Di mio nonno materno ho già scritto e scriverò ancora qualcosa. In “L’ortaglia” scrissi che era molto buono. Di mia nonna materna ho scritto finora poco. Scriverò anche di lei, anche perché ci sono degli aneddoti veramente esilaranti. Sempre in “L’ortaglia”, scrissi che non era cattiva, ma non era buona come mio nonno. Insomma, non era buona ma non era neanche cattiva. La definirei “Non buona”.
Dei miei nonni paterni non ho scritto ancora nulla. Scriverò qualcosa anche di loro. Anche se i ricordi non sono così nitidi perché abitavano a Lissone. Quando ero piccolo, andavamo a trovarli di domenica, ogni due o tre settimane.
Ecco, nel frattempo sono riuscito a svegliare Monica, che per solidarietà si è messa a leggere.
Di mio papà ho scritto finora poco e di mia mamma nulla. Provvederò. Vi posso però anticipare che loro erano molto buoni. Anzi, troppo buoni. Ed essere troppo buoni a questo mondo non va bene. No, non va proprio bene! Se ne approfittano. Proprio com’è successo a loro. Ne hanno incontrate di persone che hanno approfittato della loro bontà! Eccome se ne hanno incontrate! Sia chiaro, non scriverò né ora né mai di queste persone. Anche perché oramai hanno una certa età. Diciamo che hanno avuto la grande fortuna di invecchiare.
Ho riletto ciò che ho scritto finora e mi sono reso conto che mi sto allontanando dal ragionamento iniziale che volevo fare.
Mi sto incattivendo ripensando alle persone che hanno approfittato della bontà dei miei genitori, anche se è passato tanto tempo. Non va bene. Incattivirsi, intendo.
Sia anche chiara una cosa però: i miei genitori non erano per nulla ingenui. Sapete cosa ho deciso di fare? Cambierò strategia e cercherò di scrivere qualcosa partendo da ciò che ho già scritto.
Cambierò binario, per intenderci.
Devo però fare due esempi. Il primo per farvi capire che cosa intendo per essere “troppo buoni”, come i miei genitori. E il secondo per farvi capire cosa intendo per essere “non buoni”, come mia nonna.
Senza “tirare in ballo” nessuno però.
Va beh, ho capito…
Non mi resta che fare l’unico esempio che non coinvolga persone non appartenenti al mio nucleo familiare.
Non sarà facile, perché dovrò tornare indietro di molti anni.
Prima ancora che io nascessi.
Proviamoci…
Ho già scritto, in altri racconti, che i miei genitori abitavano con i miei nonni materni.
Prima che nascessi, i miei genitori erano entrambi d’accordo nel chiamarmi Luigi.
Come mio nonno paterno.
Lo sapete tutti come mi chiamarono.
Luigino.
E perché mi chiamarono Luigino?
Perché mia nonna materna desiderava, diciamo così, che mi chiamassero Gino.
Come suo fratello che morì all’età di 51 anni. Che poi non si chiamava nemmeno Gino, ma Maurilio. Mio “Zio Gino” che neppure conobbi perché morì nel 1965.
Così i miei accolsero parzialmente i desideri di mia nonna Eva.
Avete capito?
Luigi più Gino uguale Luigino.
I miei genitori, che erano “troppo buoni”, cedettero alle pressioni di mia nonna, che era “non buona” e mi chiamarono Luigino.
Marchiato a fuoco prima ancora di nascere!
Un nome a dir poco imbarazzante.
Come lo sfigato delle barzellette della rivista “La Settimana Enigmistica”.
Va beh, dai…
Contrariamente a quanto ho scritto nelle prime righe di questo racconto, ho almeno ritrovato una certa ironia.
E allora scherziamoci un po’ sopra, sul mio nome.
Ho già scritto troppo però…
Non vorrei annoiarvi.
Facciamo così: inizierò un altro racconto.
Anche se non so proprio come intitolare questo.
Boh…
Lo intitolerò “Senza titolo”.
Vi rimando alla continuazione di questo racconto che dovrò, per forza di cose, intitolare “Luigino”.
Sigh…

Rivolta d’Adda, sabato 4 ottobre 2014

mani di anziani