XL – PRESEPI


Oggi vi parlerò dei presepi.
Prima, però, vi devo dire una cosa.
Nel primo racconto che ho reso pubblico “I hope, I dream, I live”, scrissi che immaginavo di parlare a un amico immaginario. Mi sono accorto che, ultimamente, tendevo a rivolgermi sempre di meno a lui. A Wilson, per intenderci. È per questo che nei racconti che ho scritto ieri e l’altro ieri, mercoledì 1 e giovedì 2 ottobre 2014, l’ho “tirato in ballo” tante volte.
Non volevo che si offendesse…
Anche in questo racconto ho esordito con “Oggi vi…” anziché “Oggi ti…”, come se parlassi a un pubblico più numeroso. Un pubblico di manichini, sia chiaro! E possibilmente di quelli che non fanno troppe domande imbarazzanti!
Presumo che vi stiate chiedendo cosa c’entri tutto questo con i presepi.
Non c’entra nulla.
E allora torniamo ai presepi.Quando ero piccolo, gli anni dell’asilo per intenderci, ricordo che aiutavo mio nonno a realizzarli. Erano presepi molto semplici ma carini. Per me era una festa quando andava in cantina a prendere lo scatolone del presepe. Dentro vi erano le casette, le statuine e il fondale. E il muschio, la tèpa, come la chiamava lui.
Qualche giorno prima, mi portava con lui nei boschi dell’Adda e decorticava qualche corteccia dalle piante di robinia. Dalle piante cadute a terra, però.
Come perché le cortecce di robinia?
Perché sono quelle più adatte, per la loro rugosità.
Sì, lo so anch’io che le cortecce delle sughere sono più rugose e più leggere di quelle della robinia. Ce l’ho anche in giardino una sughera.
È che le sughere nei boschi dell’Adda non c’erano allora come non ci sono adesso.
Perché la sughera non è una pianta autoctona.
Come cosa vuol dire?
Lasciamo stare e andiamo avanti con il presepe.
Il presepe era allestito in un angolo della sala su di un asse di truciolare di due metri per uno circa.
Mio nonno creava le montagne e la grotta con le cortecce. Un sottovaso faceva da laghetto. Poi metteva il muschio e con del ghiaietto creava delle stradine. Qualche casetta qua e là, una spolverata di farina bianca e il presepe era fatto.
Ah dimenticavo, il fondale non era altro che una carta blu con le stelle color oro.
Solo allora entravo in gioco io.
Per mettere le statuine. Giuseppe, Maria, il bue e l’asinello, i pastori e le pecore e molti altri personaggi. Erano in gesso, molto datate.
Ne ho ancora qualcuna di quelle statuine.
Poi mettevo l’acqua nel sottovaso e due piccole anatre galleggianti.
A proposito di anatroccoli. Quando ero piccolo, ne combinai una veramente grossa! Ma proprio grossa! Quella non ve la posso proprio raccontare, mi dispiace. Quella non posso proprio…
Solo la sera della vigilia di Natale ponevo Gesù bambino nella mangiatoia.
Andiamo avanti.
Quando traslocammo in via Gramsci, nel 1974, la tradizione del presepe continuò.
Negli anni delle elementari lo faceva mio papà ed io lo aiutavo.
Avevamo una libreria con incorporato un acquario.
L’acquario…
Era molto bello. 100 cm per 40 cm circa, altezza 50 cm circa. Questa però è un’altra storia. Ve la racconterò, ma non ora.
Allora, in un ripiano sotto l’acquario facevamo il presepe.
Sempre con cortecce e muschio. Un foglio di alluminio sostituiva il sottovaso. Perciò niente acqua e niente anatre galleggianti. O, meglio, le anatre c’erano ma non galleggiavano.
C’era però una fila di lampadine che illuminavano la grotta e le casette.
Negli anni delle medie l’allestimento del presepe divenne compito mio. Sempre con cortecce e muschio.
Alle superiori, a volte lo facevo io, a volte lo faceva mio papà, ma comunque lo facevamo sempre. Tutti gli anni.
Poi, fui coinvolto da don Sergio nella realizzazione di quelli dell’oratorio e proprio lì mi fu trasmessa la passione per il presepe. In quelle occasioni ebbi modo di vedere dei veri professionisti del presepe all’opera. Tutti realizzati con materiale di recupero. Fondamentalmente legname e polistirolo. Erano presepi molto grossi. Con una centralina per la dissolvenza delle luci di alba, giorno, tramonto e notte. E poi, ancora, cascate, torrenti, laghetti e chi più ne ha più ne metta.
E così iniziai a costruirne anche a casa di più elaborati.
Abbandonai le cortecce e il muschio. All’inizio il materiale base che utilizzavo era il polistirolo. Affinai via via la tecnica di lavorazione. Poi, quando nacque Luca, frequentai un corso di presepismo e mi affascinò la tecnica di lavorazione del gesso e del cartongesso.
La costruzione di un presepe di gesso e cartongesso richiede molto tempo.
Dal 1990 al 1999 facevo i turni e perciò avevo molto più tempo libero.
Ne feci alcuni veramente carini.
Tenevo l’ultimo e regalavo quello dell’anno prima.
E così via…
Poi, nel 2000, smisi di fare i turni e, conseguentemente, il tempo libero diminuì notevolmente.
Tra casa, lavoro e famiglia, potevo iniziare a costruirli in tarda serata.
L’ultimo presepe casalingo in gesso lo realizzai nel 2001.
Quello che realizzai nel 2000, sempre in gesso, lo possiedo tuttora. Quello che feci nel 2001 lo utilizzammo come terzo piano, nel 2007, per la costruzione di un presepe da esporre nella chiesa parrocchiale di Rivolta.
Dal 2007, nella chiesa parrocchiale, esponiamo sempre lo stesso presepe.
Sarebbe ora di costruirne un altro, ma ci vuole tempo, molto tempo.
E ci vuole gente, molta gente…

Rivolta d’Adda, venerdì 3 ottobre 2014

Presepe di Natale 1997