XXI – I HOPE, I DREAM, I LIVE


Questo che mi accingo a scrivere è il ventunesimo racconto che “sforno” in pochi giorni. Anche se non sarà un racconto vero e proprio.
Lo renderò pubblico per secondo, perché devo integrare ciò che ho scritto nelle “Informazioni” del profilo Facebook e spiegarvi alcune cose.
Ho già spiegato in “Penso proprio che continuerò a scrivere…” perché iniziai a scrivere. Scusate il gioco di parole…
Era la sera di lunedì 22 settembre 2014. Nello stesso racconto scrissi anche che avrei spiegato perché il giorno dopo, martedì 23 settembre 2014, decisi di renderli pubblici.
Ora ve lo spiego.

Parto con un copia-incolla di due frasi che trovate anche nelle “Informazioni” del mio profilo Facebook.

“Nella serata di domenica 31 agosto inizia a balenarmi in testa quest’idea che non mi fa prendere sonno e inizio a svilupparla…”

“E allora partiamo così, in sordina, e poi stiamo a vedere cosa succederà. Le idee per rilanciare continuamente l’iniziativa non mi mancano…”

Era il 31 agosto 2014…
È passato quasi un mese da quando mi balenò in testa quell’idea. Così com’è passato quasi un mese da quando scrissi ciò che avrei messo nelle “Informazioni” del mio profilo Facebook. Anche che “Le idee per rilanciare continuamente l’iniziativa non mi mancano…”.
Perché allora non aprire subito il profilo Facebook se era già tutto pronto?
E perché passerà ancora del tempo prima che lo apra?
Perché penso che le cose bisogna cercare di farle bene. Diversamente, è meglio non farle.
Questo tempo mi è servito, e me ne servirà altro, per cercare di farle bene. Le cose, intendo…
Ho sviluppato un progetto per me ambizioso. Molto ambizioso, forse troppo. Penso, però, che sia un progetto autoportante e ben strutturato. Dal momento in cui ho deciso di mettermi in gioco, mi sono detto che non potevo tirare il sasso e poi nascondere la mano. Promuovere le donazioni e poi stare a guardare, per intenderci.
“Stiamo a vedere cosa succederà” deve valere solo per un primo periodo di rodaggio. Allo stesso tempo non puoi improvvisare e inventarti qualcosa, così sui due piedi, per rilanciare l’iniziativa nei momenti di stallo.
Devi giocare d’anticipo se vuoi cercare di mantenere sempre alta l’attenzione ed evitare che il progetto naufraghi miseramente.
Molte cose inerenti il progetto nel suo complesso ve le potrò rivelare solo a gennaio.
E allora, dopo che presi la decisione di scrivere per me stesso, presi subito anche quella di rendere pubblici i racconti su Facebook.
Ne centellinerò la pubblicazione. Nel senso che non caricherò tutti quelli che ho già scritto, né via via quelli che scriverò. Appunto per cercare di tenere sempre alta l’attenzione.
Altrimenti chi visiterebbe più il mio profilo?
E chi donerebbe ancora qualche Euro?
E allora buonanotte “scalata virtuale dell’Everest”.
Inchiodati al campo base!
Peggio, inchiodati a Katmandu!
Peggio ancora, inchiodati a Rivolta d’Adda!
Allora potrei fare così: ogni nuovi 25 amici su Facebook ne pubblico uno. Di racconto, intendo. Sì, farò proprio così. Intanto vivrei di rendita sino a 525 amici…
E se, invece, con i miei racconti ottengo l’effetto contrario? Pazienza. Li scriverò solo per me.
Non li pubblicherò più e m’inventerò un piano B per cercare di tenere alta l’attenzione sino a gennaio.
Sino a quando potrò finalmente svelarvi quello che farò per cercare di rilanciare le donazioni.
Finora, i racconti li ho scritti a ruota libera, saltando di palo in frasca come si suole dire.
Immaginando di parlare a un amico immaginario. A Wilson, ad esempio.
Ma voi non sapete ancora chi è Wilson perché quel racconto, il primo che scrissi, non l’ho ancora reso pubblico.
Mi riprometto, nei prossimi racconti che scriverò, di cercare di comporli meglio.
Anche se non sarà facile per chi, come me, non ha mai posseduto il dono della scrittura.
Prova ne è che ogni qualvolta incontro e saluto la maestra Tina, che ho avuto dalla terza alla quinta elementare, lei mi ripete sempre, ancora adesso, le stesse parole “Io ti saluto, però non dire troppo in giro che sei stato un mio alunno. Ho una reputazione da difendere io!”. Poi, si gira dall’altra parte e se ne va velocemente.
Per non parlare della maestra che ho avuto in prima elementare. Lei, ogni volta che la saluto, mi dice “Mi perdoni, ma io non mi ricordo di lei!”. Beh, direte voi, sono passati anche tanti anni. Vero, dico io, peccato che la prima volta che mi disse quelle parole io frequentavo la seconda elementare, ero ancora piccolo. Non poteva non ricordarsi di me. Era stata la mia maestra in prima. La vidi in piazza e le dissi “Buongiorno maestra Adele…”. “Mi perdoni, ma io non mi ricordo di lei!” mi rispose.
Sto scherzando dai!
Ma solo sulle maestre.
Non sto scherzando, invece, sul fatto che non ho mai posseduto il dono della scrittura.
Lo potrete appurare in uno dei prossimi racconti. Quello in cui renderò pubblici i voti che presi in Italiano nelle pagelle scolastiche…

Rivolta d’Adda, sabato 27 settembre 2014