Tumore al pancreas: il punto dopo un anno di progetto


Malattia rara, difficile da diagnosticare precocemente, a rapida evoluzione e veloce crescita, aggressivo localmente e in grado di disseminare metastasi a distanza già prima della diagnosi, fortemente sintomatico e debilitante per l’organismo, poco sensibile ai trattamenti radianti, alla chemioterapia e alle terapie biologiche. Con queste caratteristiche, l’adenocarcinoma del pancreas resta una delle principali sfide per l’oncologia odierna.

Per molti anni numerosi studi sperimentali hanno purtroppo raccolto una serie di fallimenti alimentando la fama di malattia incurabile, stimolando atteggiamenti nichilistici e rinunciatari da parte dei sanitari, e scoraggiando le aziende farmaceutiche a investire fondi per la ricerca in questa patologia. In effetti, fino a un paio di anni fa, gli unici progressi osservati provenivano dal settore della ricerca indipendente che è stata in grado di mettere a punto strategie terapeutiche per migliorare la sopravvivenza e la qualità di vita dei pazienti.

Il primo studio a dimostrare la superiorità dell’associazione di chemioterapici rispetto all’uso di un singolo farmaco nel trattamento della malattia in stato avanzato e non operabile chirurgicamente è stato pubblicato 10 anni fa ed è frutto della ricerca indipendente della Pancreas Unit dell’Ospedale San Raffaele di Milano.
La maggiore efficacia dell’utilizzo degli schemi di combinazione è stata in seguito confermata anche da un gruppo indipendente francese nel 2011 e da uno studio di un’azienda farmaceutica nel 2013. Quest’ultimo studio ha aperto nuovi scenari, convincendo altre aziende a investire nel settore tanto che oggi assistiamo al proliferare di numerosi studi con nuovi farmaci volti a migliorare la prognosi di questa malattia.

In questa malattia, la ricerca indipendente italiana ha finora svolto un prezioso e fondamentale ruolo di volano e la Pancreas Unit dell’Ospedale San Raffaele di Milano è stata la prima a livello mondiale a completare, con risultati molto promettenti, uno studio di confronto tra una combinazione chemioterapica e l’uso di un singolo farmaco per il trattamento post-operatorio dei pazienti sottoposti ad asportazione chirurgica del tumore. Anche in questo settore sono ora in corso studi confirmatori a livello mondiale.

Anche il concetto di terapia di mantenimento con l’impiego di farmaci antiangiogenetici dopo chemioterapia di induzione per la malattia metastatica è stato introdotto nel tumore del pancreas, per la prima volta e con successo, dalla ricerca milanese che sta anche conducendo uno dei primi studi clinici sulla terapia neoadiuvante.
Oltre alla soddisfazione per il lavoro compiuto e il beneficio fornito ai pazienti, ogni progresso terapeutico alimenta, anziché placare, il desiderio di ulteriori ricerche indirizzate a individuare protocolli di cura sempre più efficaci e tollerabili.

Animati da uno spirito positivo e combattivo, convinti che perseverando nella ricerca di qualità si riusciranno ad acquisire le conoscenze necessarie per curare anche la più ostica delle neoplasie, i ricercatori del San Raffaele hanno avviato negli ultimi 18 anni ben 20 studi clinici indipendenti in cui vengono ‘arruolati’ circa il 50% dei pazienti in cura presso l’Istituto. Tutto questo è possibile anche grazie al prezioso supporto e al caloroso incoraggiamento da parte dei pazienti e dei loro parenti e al loro altrettanto necessario contributo mediante donazioni.

L’iniziativa di Luigino Sala e il contributo finanziario del progetto My Everest ha attivato nuove energie e ha pungolato la ripresa della progettazione di nuovi studi. In particolare, siamo in questo momento in contatto con una piccola azienda australiana, fortemente interessata al concetto della terapia di mantenimento da noi precedentemente studiato, che vorrebbe proporci di studiare una nuova interessante molecola in questo contesto.

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